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Sopravvivere ai bombardamenti della seconda guerra mondiale

I precedenti blog hanno mostrato come il progetto WE-Hope sia stato capace di adattarsi alle restrizioni che la pandemia ha imposto alle nostre vite e al nostro lavoro, come pure alle persone le cui storie ci siamo impegnati a raccogliere. WE-Hope vuole collegare i partecipanti attraverso la condivisione di memorie ed esperienze relative a conflitti e traumi della guerra. Le persone con cui stiamo lavorando sono oggi ancor più vulnerabili a causa della pandemia: i più anziani hanno sopportato mesi di isolamento, senza contatti con la famiglia e gli amici, mentre tanti altri vivono in condizioni di grande povertà, rese ancora più dure dal freddo dell’inverno.

Child toys little soldiers
A child's toys from an air raid shelter in Trieste (M. Radacich)

Un modo per promuovere l'inclusione sociale è il racconto di esperienze comuni vissute dalle persone con cui siamo in contatto, ma proponiamo anche la condivisione di racconti tra le diverse generazioni. Questo blog racconta alcune delle storie che i partner del progetto hanno raccolto, e che sono adattate e utilizzate per WE-Hope. Il "riutilizzo adattivo" è un concetto solitamente associato a edifici e luoghi che hanno modificato la loro funzione originaria, piuttosto che alle storie orali. Ciò nonostante, questo approccio aiuta a promuovere in modo innovativo gli ideali di tolleranza e speranza. Le storie di traumi e sopravvivenza di molti decenni fa, poste accanto a storie più recenti o anche presenti, ci mostrano la forza dello spirito umano e la sua capacità di mantenere viva la speranza, anche nei momenti più difficili.

L'archivio digitale dell'IBCC, nel Regno Unito, raccoglie da quasi sei anni testimonianze associate alla guerra in Europa negli anni 1939-1945. La collezione ospita numerose testimonianze di coloro che, ormai in età avanzata, ricordano dolorosamente i bombardamenti subiti a causa degli Alleati. Alcuni di questi esempi sono presentati qui di seguito.

Dieter Essig aveva sei anni quando Pforzheim, la città in cui viveva, venne bombardata. Ricorda le lunghe ore trascorse nei rifugi antiaerei e le difficoltà patite in tempo di guerra, soprattutto la fame e la sensazione di convivere con la morte. Helmut Köhler viveva a Kassel e aveva undici anni quando iniziò la guerra. Come Essig, ricorda le ore passate nei rifugi antiaerei e l'incendio della città vecchia. Inviato presso la diga dell'Eder per manovrare una batteria antiaerea, fu testimone della rottura del muro della diga e della conseguente ondata di piena.

Una donna di Berlino che desidera rimanere anonima aveva nove anni all'inizio della guerra. Venne evacuata in campagna, ma tornò a casa perché “non stava succedendo niente”. Appena fece ritorno a Berlino, iniziarono i bombardamenti. Nel suo racconto ci descrive il senso di terrore e gli sconvolgimenti che i raid le causarono, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento di cibo. La fame era il suo pensiero dominante, come pure ci racconta Essig: i bambini raccoglievano schegge e altri pezzi di metallo per scambiarli con il cibo, oppure barattavano i loro averi in cambio di una piccola razione.

Adriano Landini portrait
Adriano Landini (© G. Bizzarri)

Abbiamo anche numerose storie che vengono dall'Italia. Per esempio, Adriano Landini ha vissuto da bambino a Reggio Emilia. Ci descrive le estreme difficoltà vissute al tempo di guerra, e la necessità di pensare continuamente come fare per sopravvivere, anche attraverso il furto e il mercato nero. Ricorda in particolare due bombardamenti, durante i quali si nascose in un grande rifugio pubblico. Il primo bombardamento mise fuori uso la rete elettrica e il secondo colpì l'ospedale, causando molte vittime.



Helga Wynne portrait
Helga Wynne (© A. Pesaro)

Tornando alla Germania. Helga Wynne rimase sepolta dalle macerie quando l'ospedale in cui lavorava, a Kiel, venne bombardato. I suoi colleghi riuscirono a liberarla, ma ci volle molto tempo prima che si riprendesse dalle ferite. Dopo la guerra, incontrò un paramedico britannico del Royal Medical Corps in servizio a Kiel, e andò a vivere nel Regno Unito.


Storie come quella di Helga e le altre qui descritte continuano a esserci di ispirazione nel nostro lavoro, per promuovere i valori comuni di tolleranza, solidarietà, inclusione e rispetto.



Questo articolo è stato scritto da Heather Hughes dell'Università di Lincoln, coordinatore del progetto WE-Hope.


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